Il mio vicino dittatore: l’opposizione bielorussa a Vilnius
This post is also available in: Inglese, Lituano, Polacco, Francese, Tedesco, Spagnolo
La Bielorussia è l’ultima dittatura esistente in Europa, la capitale lituana, Vilnius, dista solo 40 km dal confine. Per i difensori dei diritti civili bielorussi Vilnius è un rifugio e una centrale operativa – mentre la Presidente lituana mantiene buoni rapporti con il despota bielorusso.
La centrale è così nascosta che lo stesso KGB non l’ha ancora trovata: infatti, chi farebbe, di sua spontanea volontà, chilometri e chilometri a piedi lungo una fila interminabile di prefabbricati e baracche industriali? Poi, anche se qualcuno arrivasse alla meta, tornerebbe subito indietro. L’edificio sembra abbandonato, l’insegna sulla porta è completamente corrosa e non c’è il campanello. Solo gli iniziati arrivano a varcare la soglia – per ritrovarsi circondati da un vortice di attività frenetiche.
Olga Karatch, che dirige l’organizzazione per i diritti umani Nash Dom [Casa Nostra], spiega a due collaboratrici arrivate da Minsk la strategia per le settimane seguenti. Insieme a 300 volontari, distribuiscono il giornale dell’organizzazione in tutto il paese: 150.000 esemplari – una tiratura che solo i media statali raggiungono. Olga Karatch appare senza fiato, come se il futuro del proprio paese si decidesse nelle settimane a venire – dopo 17 anni di voti truccati, modifiche alla Costituzione e persecuzioni politiche.
Un matrimonio che sa di cospirazione
L’attivista, 33 anni, ha dedicato tutta la propria giovinezza alla lotta contro il despota bielorusso, e il giorno del proprio matrimonio era già così conosciuta che il KGB ha fatto sorvegliare la festa: “Credevano che fosse un ritrovo di cospiratori.” Il suo ufficio a Minsk è stato a lungo l’obiettivo preferito di razzie da parte dei servizi segreti. Lo scorso aprile durante un workshop 18 responsabili dell’organizzazione sono stati arrestati e Olga è stata picchiata. Lei fino ad ora è stata arrestata “fra le 50 e le 100 volte”, in alcuni periodi accadeva quotidianamente. Altrettante volte ha subito minacce di violenza sessuale o di morte per il suo cagnolino. La giovane racconta tutto questo con enorme lucidità e compostezza, come se stesse parlando di una bolletta del gas. “Tutto ciò non aiuta la nostra organizzazione. Non possiamo permetterci le campagne di solidarietà e gli avvocati in modo continuativo”.
Dopo che la protesta in Bielorussia ha raggiunto l’apice – con le manifestazioni dopo le elezioni del 19 dicembre 2010 e la “rivoluzione silenziosa” della primavera del 2011 – la vicina città all’interno dei confini europei è diventata un importante centro nevralgico della resistenza: oltre a numerose ong, ha riaperto qui anche la EHU (European Humanities University), che era stata bandita da Minsk. La capitale lituana non è stata una scelta casuale da parte degli attivisti: Vilnius è il primo avamposto dell’UE, a soli 40 km dal confine bielorusso e a tre ore di treno da Minsk. E la vicinanza emotiva è altrettanto forte: nel XIX secolo infatti “Wilnja” era il centro culturale della Bielorussia. Ancora oggi i bielorussi che vi abitano sono 20.000.
Una presidente adulata
Mentre Vilnius offre ospitalità agli oppositori di Alexander Lukaschenko, la presidente lituana Dalia Grybauskaitė mantiene buoni rapporti economici e diplomatici con il dittatore, sempre più isolato nel panorama internazionale – e i lituani le dimostrano gratitudine e affetto. Per un paese piccolo ed economicamente debole come la Lituania, la Bielorussia è un partner commerciale importante. Dove poi questa cooperazione può portare, ci è stato dimostrato nell’agosto del 2011, quando la Lituania ha reso pubblici i dati bancari dell’attivista per i diritti umani bielorusso Ales Byalyatski, contribuendo così alla sua condanna a quattro anni e mezzo di detenzione.
Un anno dopo la protesta di massa a Minsk, piena di grandi speranze e senza grandi risultati, i difensori dei diritti umani si sentono come Sisifo: soltanto il loro umorismo nero li salva dalla resa. Si moltiplicano le battute su Lukaschenko. Una giovane traduttrice a cui non viene in mente la traduzione della parola “elezioni”, commenta: “non mi stupisco, in fondo non ho mai visto delle elezioni in vita mia”. Si sa: finché la Russia sosterrà Lukaschenko economicamente, i bielorussi continueranno ad accettare il proprio destino senza ribellarsi.
La stessa EHU, l’università in esilio, un tempo bastione della resistenza politica, sembra il castello della bella addormentata nel bosco. Secondo Kasia Stsiapanava, iscritta al quarto anno di giornalismo e impegnata come scrutatrice elettorale e portavoce della Belarusian Human Rights House (centro bielorusso per i diritti umani), soltanto il 15% degli studenti sarebbe attivo politicamente. Gli studenti più giovani, nati sotto la dittatura di Lukaschenko, verrebbero a studiare in questa università unicamente per le migliori prospettive di lavoro.
Notte di Natale ai servizi segreti
Le voci circolano. Il KGB ingaggia studenti perché facciano rapporto sui propri compagni. Kasia annuisce: “Penso sia molto probabile”. La notte di Natale dell’anno passato è stata lei stessa arrestata alla frontiera e messa in una cella per farsi interrogare. “Hanno cercato di farmi dire se i candidati dell’opposizione avessero esortato noi studenti a partecipare alla manifestazione di Minsk. Volevano capire se io fossi una ‘buona’ o una ‘cattiva’ osservatrice per le elezioni”. A prima vista Kasia Stsiapanava sembra fragile e vulnerabile, quasi più piccola della sua età – una preda facile, devono aver pensato gli agenti alla frontiera.
Ma si sono sbagliati di grosso: Kasia Stsiapanava, in quanto figlia di due giornalisti critici nei confronti del sistema, era pronta ad un possibile arresto; già mentre veniva portata all’interrogatorio ha rilasciato tramite il cellulare un’intervista ai suoi genitori, che è stata trasmessa in diretta. Così la situazione si è improvvisamente ribaltata: suo padre ha minacciato l’agente del KGB al telefono, altri giornalisti hanno diffuso la notizia, aiutando così la 21enne. Dopo quattro ore Kasia è stata rilasciata, e ha imparato qualcosa in più: “Anche il KGB è fatto di persone – alcune molto più stupide di quanto si creda. Adesso, quando passo la frontiera, incontro ogni volta gli stessi uomini che mi hanno fermato l’anno scorso. Vedo come si soffermano, un po’ troppo a lungo, a sfogliare il mio passaporto e come la loro faccia si ricopra di rosso dalla vergogna”.
Fa freddo nella centrale operativa di Nash Dom. I collaboratori, esausti e infreddoliti, stringono le mani intorno alle loro tazze di tè. Olga Karatch, come per rilassarsi, continua a passare il pettine sulla sua frangia ben pettinata. Dietro al caos fatto di foglietti, bustine di tè e volantini, un albero di Natale di plastica scintilla sotto le luci a neon. Olga non sa ancora se potrà passare il Natale a casa. L’anno della primavera araba si conclude con l’inverno bielorusso.
AUTORE Christina Felschen, TRADUTTORE Benedetta Bronzini